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don Giulio Lanfranchi. Il suo vescovo è curvo su sè stesso: e tace. La sua mano, due o tre volte ha toccato il volume di san Francesco di Sales: due o tre volte, i suoi occhi avvezzi, si sono rivolti verso il grande crocifisso di avorio, sulla nera croce di ebano, che è sospesa, al muro, sovra un pannello di velluto rabescato. Forse, nella semplicità della sua anima, egli non trova ancora, come lottare contro la crisi spirituale del giovine prete. Forse, quelle parole così spasimanti di don Giulio, ove tutta l’immane carneficina si palesava, in una straziante sintesi, hanno commosso colui che non ha visto la carneficina, ma è stato colpito dal suo riflesso. Pure, con una calma che egli impone alla sua emozione, egli si volge al suo figlioccio:

— Il tuo cuore era troppo sensibile, per la tua opera di guerra, figliuolo mio: e tu hai molto, troppo sofferto. Iddio ti perdonerà la tua sacrilega negazione, Giulio, poichè essa è sorta dalla tua fraternità umana, dalla tua bontà, dalla tua carità... Ma, vedi, figliuol mio, tu, io, tutti quanti, siamo incapaci a comprendere e a spiegarci il mistero dei disegni di Dio, siamo troppo povera cosa, perchè la nostra mente giudichi la ignota origine della sua volontà...

— Se Egli ha voluto la guerra, il flagello, la carneficina, lo sterminio, noi ne ignoriamo la ragione e dobbiamo inchinarci a Lui.

Balza in piedi, il gracile, l’emaciato giovine prete e leva le pugna chiuse, in alto, gridando:

— Ma, allora, questo Dio è un assassino, che crea gli uomini, per assaporare, indiscusso, ingiudicabile, il piacere di ucciderli? Ma, allora, questo Dio ha inventato le epidemie, le alluvioni, i terremoti, per meglio distruggere gli uomini, senza difesa contro la sua truce volontà? Ma allora questo Dio si è compiaciuto, si compiace, di scatenare la guerra, per distruggere il maggior numero di viventi? Ma è un Dio costui, è quel Dio che