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di buoni sacerdoti. È strano: ma la fede è vacillante. Stranissimo! Se tu vuoi tornare a ufficiare nelle chiese che amasti tanto, bene: ma se vuoi cambiare, trovare più larga via al tuo spirito, io posso aiutarti. Forse sei nobilmente ambizioso: sarebbe giusto: io farò tutto, per te.

— Non voglio nulla, non desidero nulla.

Don Filippo Morcaldi sogguarda il suo figlioccio:

— Sei umile, lo so. E, allora, in quale delle due chiese vuoi tornare, dimmi?

— In nessuna delle due — risponde, infine, chiaramente, don Giulio Lanfranchi.

— Che hai detto, Giulio? — balbetta monsignor vescovo.

— Io non salirò più sull’altare — replica, reciso, Giulio Lanfranchi.

— E perchè? Perchè? — interroga, sgomento, il vescovo.

— Sono indegno — è la breve, arida risposta.

— Ti sei guasto l’anima, in guerra, al fronte? Hai peccato? Hai peccato di carne? — e si affanna il vecchio sacerdote, nella domanda.

— Non ho conosciuto donne. Sono mondo.

— Altri piaceri, altri vizii, ti hanno traviato?

— Nessun piacere e nessun vizio. Sono rimasto puro.

— Forse la infingardaggine, la trascuranza, nel tuo uffizio santo, ti hanno corrotto?

— Ho fatto, lassù, per quattro anni, tutto il mio dovere di cristiano e di prete.

  1. — E allora, allora? — esclama, agitatissimo, don Filippo.

— Per me, monsignore, il cielo è vuoto. Non credo più.

— Ah! — dà in un grido di fiero dolore, il padrino spirituale di Giulio Lanfranchi.

— Vuoto e deserto, il Cielo. Senza Dio, senza Gesù, senza Maria, senza i santi — prorompe, protervo, Giulio Lanfranchi.

— Empio, empio che sei, lo Spirito del Male è in te! — grida il vescovo, a gran voce, sollevato