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vennero qui, per la tua prima messa. Piangevano di gioia, poverette! Anche tu, Giulio...

Tiene lo sguardo fisso sul suo vescovo, il giovine prete: e vi è, in quello sguardo, un continuo mutamento di espressione, mutamenti quasi inafferrabili, di grande tristezza, di volontà insorgente, di ansietà repressa. Non vede, non sa, il vecchio vescovo, tutto alla sua dolcezza paterna, innanzi al suo figliuolo spirituale.

— Dicevate molto messa, al campo?

— Molto, al principio; poi molto meno; infine, quasi mai.

— So, so... dovevate assistere troppi feriti, troppi morenti... E a Città della Pieve, poi, avrai ripreso?

La domanda è semplice, è ovvia. Dopo un istante d’incertezza, don Giulio Lanfranchi risponde:

— No.

— No? E perchè? Eri stanco? Ti eri disabituato?

— Ero stanco, sì... Poi, monsignore, voi lo sapete, la messa, per noi, non è obbligatoria.

Per la prima volta, don Filippo Morcaldi si scuote: un lieve accigliamento sull’antico volto.

— Parli sul serio, Giulio? L’obbligo? Che significa l’obbligo? Pel sacerdote, unirsi, sull’altare, al suo Signore, è un bisogno altissimo dello spirito, una necessità per la vita della coscienza... Come intraprendere la propria missione, ogni giorno, senza quel soccorso?

— Vi siete male avvezzi, in guerra, Giulio: ti compatisco, figliuolo mio, perchè non è tua colpa. E, dimmi, che programma hai, adesso, che ti sei riposato e che sei in Roma?

— Dove vuoi andare? Di nuovo a san Camillo? O a santa Maria degli Angeli? Preferisci qualche altra chiesa?

Don Giulio Lanfranchi seguita a tacere: ma i suoi occhi, adesso, rispecchiano, solo, una rigida volontà.

— Rispondimi, figliuol mio. Abbiamo necessità