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Nigeria, le mie sorelle, le Francescane Missionarie di Maria: lasciatemi andare con loro, laggiù, fra gli infedeli, fra i lebbrosi.

— Non è possibile!

— Rendetelo possibile.

— Non siete monacata!

— Non importa. Parto come conversa: parto come serva, monsignore, ma parto.

— È un disegno del vostro folle dolore, Carolina, non posso permetterlo!

— Volete, allora — ella pronunzia, impetuosamente, — che io mi abbandoni ad un altro disegno? E che perda la salute della mia anima, con la mia morte? Debbo, dunque, dannarmi?

— Carolina, tacete! — egli esclama, con sdegno.

— Monsignore, salvatemi, lasciatemi andare!

— Conoscete i disagi, le privazioni, i pericoli di quella esistenza?

— Desidero affrontarli.

— Le nostre Francescane, laggiù, si contagiano, coi lebbrosi e ne muoiono.

— Così sia! — ella dice, congiungendo le mani, chiudendo gli occhi.

Egli tenta una ultima ma debole difesa.

— Voi vi separate, così, per sempre, dalla vostra figliuola?

— L’amerò sino alla morte: pregherò per lei sino alla morte: ma voglio sparire. Debbo sparire.

Don Filippo Morcaldi è vinto.

— Sia fatto come volete, Carolina Leoni, figliuola mia.

La donna scivola, silenziosamente, in ginocchio, davanti al vecchio vescovo, curva la fronte sulla sua mano, bacia l’anello, per ringraziare. Poi, sotto la muta e commossa benedizione del sacerdote si leva, si allontana, col suo passo eguale: e va, al suo destino di esilio e di sacrificio mortale, la madre, che ha perduto la sua unica figliuola vivente.

Ora, nella prima sera, il vecchio vescovo è solo: e sembrano più curve le sue spalle e si abbassa la testa sul suo petto. È penetrata, è nutrita di

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