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e condiscendente, donna Clara Frontini — ma se trovo un momento, vengo a passarlo qui. Ho fatto una visitina al mio Cosimo, nello stabilimento... povero Cosimo mio, il suo duro sacrificio è appena cominciato...
— Grande lavoro, eh? — chiese, con un finto interesse mondano Barbara.
— Grande lavoro e grande responsabilità — dichiarò, con sempre maggiore sussiego, Clara Frontini.
— Dunque, ci siamo — chiese Franco Gaita, freddo e cortese, ma quasi non tenesse alla risposta.
— Ci siamo — affermò la moglie dell’industriale, levando la testa con fierezza.
— Da che desume, signora, questa certezza? — domandò Ivo Ranaldi, mentre cercava permesso a Barbara di accendere una sigaretta.
— Dalle ordinazioni, signor Ranaldi — ribattè, tagliente, Clara Frontini.
— Molte, signora? — domandò a sua volta, Giulio Cortese, con garbata ma superficiale curiosità.
— Centinaia di migliaia di cinghie, per gli zaini — concluse, superba, insolente, Clara Frontini.
Un minuto di silenzio e di pensiero. La conversazione subito ricominciò, quieta, leggiera, frivola.
— Lei, don Manuel, che ne pensa? — chiese Franco Gaita, come se si dirigesse a un’alta autorità politica.
— Oh nous, nous sommes neutres, en Espagne — rispose, evasivamente, in francese, il diplomatico, che parlava malvolentieri l’italiano.
— Io vado in Croce Rossa... ho bisogno di sacrificarmi... — mormorò, come fra sè, Ginetta Stresa.
— Durerà tre mesi — affermò, con presunzione, l’avvocato Giulio Cortese, con una significativa stretta di spalle, verso Ivo Ranaldi.
— Oh non di più! Io lo so bene... Lo so di certa scienza — confermò il poeta, che era anche gior-