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A malgrado che imbrunisca, a malgrado la stanchezza dei suoi occhi, don Filippo Morcaldi seguita a leggere, nel suo Uffizio, le orazioni di Compieta. E, forse, non legge neppure quelle preci latine, poichè leva la fronte e le sue labbra si muovono lievemente a pronunciarne le parole, che egli conosce bene, a memoria. Fino a pochi anni prima, la profonda fede cristiana dì don Filippo e il suo zelo religioso, non gli avrebbero mai fatto mancare, in chiesa, l’ufficio così soave del Vespro, quando il giorno svanisce nella sera e il cristiano si unisce al suo Signore, ringraziandolo dell’altra giornata che gli è stata concessa, per la sua milizia sulla terra. E in Santa Maria in Via, in Santa Maria degli Angeli, in San Camillo, si era certi di ritrovarlo, in quell’ora, alto dignitario sacerdotale, fra i più umili preti, a cantare Vespro, sottovoce, nella penombra della chiesa, innanzi all’altare ove ardevano accesi pochi ceri, fra pochi devoti che oravano. Ma, ora, gli anni, molti, si sono appesantiti sulle forze fisiche di don Filippo Morcaldi e i doveri del suo grande grado nella prelatura, sono diventati molto più copiosi e lo tengono preso, in quel vasto appartamento del suo antico palazzo: sempre le ore delle preghiere sono segnate, per lui, come da quando era adolescente nel Seminario, come quando era giovine prete, ma egli prega in sua casa, dove è impresso, ovunque, il suggello mistico della fede e l’avita tradizione dei Morcaldi, che hanno avuto, in ogni generazione, un vescovo, o un prelato, o un semplice sacerdote. Anzi in uno dei saloni, vi è un grande armadio che racchiude un altare, dalla pietra consacrata e davanti al quale, spesso, don Filinppo Morcaldi recita la messa, per qualche amico, per i suoi familiari, o amministra la cresima a una giovinetta, a un fanciullo. Imbrunisce: don Filippo ha finito l’ufficio di Compieta e posa il suo libro sul tavolo presso il quale è seduto, in un largo seggiolone: il libro è aperto ed egli vi tiene, sopra, appoggiata, la mano, come se, ancora, pregasse men-