Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 261 — |
— ella continuò. — Camillo, mi hai fatto troppo aspettare quello che mi spettava.
— Perdonami, sorella mia — Camillo disse, gravemente, tristemente.
— L’hai qui, Camillo? Dove?
Egli ebbe un sussulto, innanzi a questo crescendo di richiesta: stette muto.
— Dove è? Dimmi!
E girò il suo sguardo, per tutta quella stanza di albergo. E, in fondo, in un angolo, sovra un icchese, vide le due cassette di ordinanza di suo marito, il capitano Mario Falcone, le cassette che ella bene conosceva. Si levò, si diresse velocemente verso quell’angolo, ma suo fratello le fermò il passo, le si pose davanti.
— Camillo, quelle cassette sono mie, lasciamele aprire, lasciamele prendere — Magda esclamò, concitata.
— Non ora! — egli si oppose, impetuosamente.
— Camillo, sono venuta da Roma, per averle, per aprirle, per portarle via!
— Non ora! — egli replicò, tendendo le mani per respingerla, per non farla passare, poichè ella lo tentava.
— Lasciamele prendere, sono del mio Mario! — ella gridò, gittandoglisi contro, come folle, per toglierlo di mezzo.
— Il tuo Mario! Il tuo Mario! — egli proruppe, non frenandosi più, livido, oramai, di tutta la sua atroce collera, repressa e covata.
— Era il mio Mario, è il mio Mario, sì, sì, vivo o morto, hai capito, Camillo?
E le folgoravano, d’un tratto, gli occhi così spenti nella loro estrema certezza.
— Ah no, perdio, no, Magda, che non era tuo, Mario Falcone! — gridò il fratello, in sua immensa amarezza e in sua immensa collera.
— Non dire, non dire, era mio, sempre, ed è anche più mio, nella sua morte — e balenavano i suoi occhi smorti, i suoi occhi morti.
— Cieca e sorda eri, dunque, Magda, infelice
M. Serao. Mors tua... | 21 |