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— E che cosa, mai te lo impediva, allora, quale grande cosa, Camillo?

E l’interrogazione diventava più precisa e più pressante.

— Io non ho mai finito di volerti bene, Magda cara — egli aggiunse, eludendo la domanda.

— Lo so, Camillo — ella disse, mettendogli una mano sul braccio, con l’antico gesto di carezza fraterna.

— E tu, mi ami sempre, sorella mia? — Moles chiese, scrutandola intensamente.

— Come prima, come sempre, Camillo. Io non amo che due persone: te, Camillo e colui che mi ha lasciato.

— Tu ami ancora Mario Falcone? — egli le domandò, sempre più tenendola sotto l’acuto suo sguardo.

— Io lo amo sempre. E non finirò mai di amarlo, Camillo.

— Non finirai mai di amarlo? — egli ripetette, lentamente, come se parlasse a sè stesso, constatando una verità preclara.

— Nessuna cosa e nessuna persona mi potrebbe farlo amare, per un istante, di meno, Mario Falcone, mio marito, morto in guerra e di cui porterò il cordoglio, tutta la vita — ella proclamò, a un tratto, con voce alta.

— Ah! — egli rispose, senz’altro.

Un silenzio: pensieri, sentimenti, conflitto di sentimenti e di pensieri, ma senza parole. E, da questo tumulto interiore, la richiesta netta e precisa:

— Perchè non mi hai mandato, in Roma, tutto quello che è restato, di lui, Camillo?

Egli corrugò la fronte:

— Volevo portartelo io stesso, Magda, rientrando a Roma.

— Poichè ritardavi, dovevi mandarmelo — ella soggiunse, nettamente.

— È vero. Ti chieggo scusa. Credeva sempre di partire, verso Roma.

— Io sono la sua vedova: e quella roba è mia