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— Sei stato tanto tempo e non lo sai? — insiste, il capitano Moles, con una brutta occhiata.

Niente. Il soldato risponde, piano:

— Non so.

— Dove ti hanno preso?

— Non so.

— Neanche questo, sai? Sarai fuggito, allora, verso il nemico.

— No, signor capitano. Non sono fuggito. Mi hanno preso... — e si arresta, senza fiato, il soldato Pescatori Attilio, che si guarda attorno, smarrito, come se si sentisse cadere.

— Capitano, vi è qualche notizia, su costui — dice, chinandosi al suo superiore, il tenente segretario, Dellacasa. — Pare che sia stato preso, a Oslavia, in combattimento.

— Combattevi, quando ti hanno preso? — riprende l’inquisitore militare.

— Credo... forse... Non so — ed è così debole, così vacillante in tutte le sue forze, Pescatori Attilio, che il capitano Camillo Moles lo licenzia, non per compassione, ma perchè comprende che non potrà nulla sapere, da costui, che è diventato un cencio umano.

È un giovane soldato di artiglieria, che succede a Pescatori Attilio, il quale è andato via tremando, urtando contro lo stipite della porta, sostenuto, per un momento, dalla mano del sergente Brambilla. L’artigliere si chiama De Domenico Vincenzo, meridionale: ha l’aspetto sano, ma l’espressione accorata negli occhi oscuri e nella voce bassa.

— Vieni dall’Austria?

— Signorsì. Dal campo di Salzburg.

— Vi sei stato molto tempo?

— Un anno, signor capitano.

— Preso prigioniero a Caporetto, è vero? — stride la domanda del superiore.

— Sì, a Caporetto — è l’accoratissima risposta di De Domenico Vincenzo.

— Come gli altri, naturalmente... — soggiunge, mostrando tutto il suo disdegno, il capitano Moles.