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disgrazia.... Era buono, nel fondo, Cecchino, ma attaccabrighe, manesco.... E si è rissato, col suo compagno, e gli ha dato una coltellata.... Non abbiamo potuto metter l’avvocato: non avevamo denaro.... tutte disgrazie, papà caro....

— È sempre a Rieti, nel Riformatorio? — si volta, tetro, a sora Tuta, Cesare.

— Era, compare Cesare, fino a un anno e mezzo fa: ma lo debbono aver tramutato: non ne sappiamo più nulla. Ma speriamo, speriamo, compare, che lì dentro si corregga.

— ....

Adesso, ha il capo abbassato sul petto, Cesare Pietrangeli e appare così sfinito, che ispira una dolorosa compassione. La figlia lo guarda: e non sa che dirgli, essa stessa profondamente turbata.

— Abbiamo fatto discorsi troppo tristi, compare — osserva, sora Tuta. — Voi siete debole e non dovete affliggervi, per cose passate, disgrazie, disgrazie ve ne sono state e ve ne sono dapertutto, per tutti.... Prendete qualche cosa, Cesare. Un bicchiere di wermouth? Una tazza di caffè? Bicetta ve lo va a fare, presto, presto.... È brava, sapete, per il caffè, come per tante altre cose!

— Sì, sì, papà, vado a farti una buona tazza di caffè! — dice vivacemente la figliuola, riprendendo la sua gaiezza puerile: e scappa in cucina.

Cesare Pietrangeli si leva, si accosta, con passo fiacco alla sua comare Restituta, le mette una mano sul braccio e levando gli occhi al cielo, le dice:

— Siate sempre benedetta, sora Tuta! Voi mi avete salvato una figliuola... e io non ho che lei, solo lei!

Ancora due lunghe lacrime rigano il viso consunto di Cesare Pietrangeli.

— Non dite, non dite, compare Cesare! Ho fatto l’obbligo mio di madrina: non l’ho battezzata, forse, io, Bicetta? Santo, santo, quel giorno! Non si chiama anche Restituta? E non ho avuto figli, io, con Marcuccio, perchè non ci è stata la volontà di Dio, ma ecco la figlia, eccola qua!