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— Quanto era carino, Augustarello nostro!
— Pupo mio, pupetto, che sei fra gli angeli, Augustarello!...
Le lacrime si asciugano sulle guancie dei piangenti, s’inaridiscono negli occhi: ma sempre pesa il cuore, nel petto del padre, della figliuola.
— Mamma Mariuccia non ha colpa, papà mio — ricomincia, lenta, la figliuola. — Forse potevamo vivere, ma molto ristrettamente, allora: e le sue amiche, sai, Maddalena, la moglie dell’ebanista e Carmelina, la figliuola del portinaio, dirimpetto, erano già andate in fabbrica, a lavorare, e guadagnavano, e vestivano bene: e venivano a trovarla, la domenica, per convincerla d’ingaggiarsi, anche lei...
— Augustarello, Augustarello! — mormora, tristissimamente Cesare.
— Vi era il pupo: il pupetto nostro... Essa non lo voleva lasciare: ma Concertina, la moglie del vinaio, aveva messo il suo nel «nido» ove eran accolti tutti gli altri pupi, e le signore e le signorine li nutrivano, sai, col poppatoio, davano loro le pappe: e mamma andò a vedere, e tutto era bianco, elegante... Noi, papà, che potevamo dire, per non farci portare via il fratellino? Era la mamma, era la padrona... E tu non vi eri, tu, il padrone.
— Era la mamma, la padrona: e io non vi ero... — ripete, smarrito, sperduto, Cesare Pietrangeli.
— Così se ne andò, il nostro povero Augustarello — è il lagno sommesso di Ricetta Pietrangeli.
— Tu l’hai visto, morto?
— No. Nessuno di noi l’ha visto.
— Neanche la mamma?
— Neanche.
Il viso di Cesare Pietrangeli si contrae così violentemente, nello strazio e nella collera, che Ricetta si spaventa.
— Mamma Mariuccia non ha colpa, non ha colpa... è stata una disgrazia terribile... Una disgrazia! Anche quella di Cecchino, tu lo sai, una