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un istante gli fu fra le braccia ed egli se la chiuse sul petto e la baciò sulle gote, sugli occhi, sulla fronte, sui capelli, mentre essa, convulsamente, seguitava, a dire, baciandolo, stringendosi a lui:
— Papà mio caro, caro, caro!
L’abbraccio convulso si sciolse, ma la fanciulla rimase attaccata al fianco del padre, che le teneva un braccio al collo: ed ella, ogni tanto, gli posava la testa sul petto, per un istante e poi si staccava e lo guardava, ancora. E vedeva, sì, suo padre, Cesare Pietrangeli che era stato grosso, atticciato, con un corto collo taurino, con un viso acceso e i tondi occhi sporgenti e i rudi cappelli a spazzola, sulla fronte bassa, ma lo ritrovava, dopo tanto tempo, smunto, con una pelle grinzosa e macchiata, coi capelli fattisi radi e scoloriti, sull’alto del capo e sulle tempie, con gli occhi di una tinta torbida e uno sguardo spento, col corpo più che dimagrato, diventato flaccido, nei panni dimessi, i calzoni troppo larghi sulle gambe, il panciotto che facea pieghe, sul torace. E abbracciandosi, parlavano a frasi sconnesse:
— Come ti sei fatta alta, Bicetta, Ridarella mia!
— Lo sai che ho dodici anni, papà?... Ne avevo di già otto, quando mi lasciasti, quattro anni fa...
— Quando ti lasciai, è vero... quattro anni fa — fu la ripetizione sommessa. — Ma ti sei fatta forte, anche, contadinella mia...
— È quest’aria, papà... È questa vita... E mamma Tuta! Ma, sai, non guardare i miei zoccoletti... Ci ho anche delle belle scarpe... E divento romana, quando me le metto...
— Lo credo, lo credo, figlia cara... — e sorrise, in poco e sospirò, come se affannasse.
— E tu, papà mio, come stai, dimmi, dimmelo!
— Ah foglietta cara, quanto, quanto sono stato malato! Chi te lo può dire?
— Lo so... Io so, povero padre mio.
— Me ne andavo, Bicetta mia: è stato Iddio, che non mi ha voluto...
E sospirò, anche più profondamente. Ora, su due