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dere la lettura. Quando, a un tratto, udì un passo, alle sue spalle: era la sora Tuta che l’aveva raggiunta, che pareva un po’ turbata, che la guardava, fissandola, tenendo la bocca chiusa, ma non parlando.

— Non va giù, non va giù, questo catechismo... — mormorò la fanciulla, crollando il capo.

— Bicetta, vieni con me, un momento — disse, infine, la sora Tuta, con un accento singolare.

— Io vi apro le bacche dei fagioletti freschi, mamma Tuta, fatemelo fare, ve ne prego! E si fa una minestra saporita!

— Andiamo, andiamo, su, Bicetta — disse l’altra, senza darle retta.

Pure, camminava piano, avviandosi verso la porta di dietro della casa, che dava sull’orto e che era quella della cucina: una volta, anzi, si fermò e mise la sua larga mano, sul braccio della fanciulla. Poi, fece uno sforzo, come se inghiottisse la sua saliva:

— Vi è una visita, per te, Bicetta...

Trascolorò, subito, la fanciulla e rimase immota, come irrigidita, sui suoi zoccoletti.

— Che visita, che visita, mamma Tuta? — e tremavano le parole, sulle labbra tremanti — La mamma di Roma... l’altra mamma? — e nulla era maggiore della confusione e del tremore di Bicetta Pietrangeli.

— Eh no, no! — negò, con un gesto triste, la sora Tuta. — Meglio, meglio, figlia mia...

— Allora è il mio papà, il papà mio caro? — gridò la ragazza, tutta protesa e anelante, nella domanda.

— Sì, sì, è il tuo papà...

— Dove è, dove è, il papà mio? — e scappò, come un razzo, a traverso la cucina, penetrò in una stanza terrena, che serviva da tinello e gridò, guardandosi intorno:

— Dove sei, papà, papà?

In un angolo di ombra era Cesare Pietrangeli: e ne usci, con un passo vacillante e la sua figlia, in