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erano disposte, in fila regolare, le insalate, i pomidoro, i peperoni, e delle zucche già fiorite di giallo. Due o tre galline sornione si erano allontanate, verso le insalate, golose di bezzicare le lattughe e le scarole. E Bicetta, perseguitandole, le ingiuriava:
— Ah brutte ladre, Bianchina, ladrissima, e tu, peggio, Costanzella e mi meraviglio di te, Rossolina!
E le sospingeva, via, verso la casa e quelle fuggivano, innanzi a lei, sparnazzando le ali.
— Non vai a scuola, oggi, Bicetta? — chiese, dalla loggetta, ove distendeva, al sole, sulle corde, certi panni risciacquati, la sora Tuta.
— No, mamma Tuta. Si fa vacanza, oggi.
— Vacanza?
— È festa, mamma — rispose, con voce meno vivace, la ragazza.
— È festa?
— Ventiquattro maggio — e, addirittura, la risposta era data senza fiato. Anzi, la fanciulla aveva voltato la testa in là, verso il terrazzo che cingeva la casa, l’orto e la vigna, e da cui si scorgeva l’amplissima valle, sino a Sgurgola.
— Che fai, allora, Bicetta?
— Vengo su, mamma Tuta: vi aiuto in cucina.
— Più tardi, figlia cara: ti chiamo io... Perchè, invece, non ti ripassi il tuo catechismo? Lo sai poco, dice il curato.
— Lo so poco... È vero. Buttatemelo giù, mamma Tuta. Mi metto qui, a ripassarmelo... Ma non giungo a imparare... Sono così stupida... ho così poca memoria.
Dopo un poco, Bicetta Pietrangeli, andava e veniva, lentamente, fra i viottoli dell’orto, col catechismo aperto, fra le mani, forzandosi a leggere le righe corte e lunghe del catechismo, domanda e risposta, ma distraendosi, obbliandosi, con gli occhi presi da un passerotto che saltellava da un ramo all’altro, con le mani che raddrizzavano una pianta di pomodoro, cercando, invano di ripren-