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E l’allucinazione di Guido Soria, ancora gli fece scorgere negli occhi castani dell’austriaco, una domanda mesta e dolce. Quale domanda? Quale? Guido Soria si guardò, attorno, cercando la parola del misterioso enigma; ma era in solitudine e in silenzio. Chi, chi gliel’avrebbe detta, quella parola? Alto silenzio: profonda solitudine. E, a un tratto, un grido gli uscì dal petto, dal cuore:

— Costantini, Costantini!

E tese le braccia, nel vuoto, nell’ombra, all’assente, al lontano.



La fanciulla era accoccolata presso il largo gallinaio, coverto da un tetto di legno, quasi una casetta, e guardava attentamente, fra i cancelli. Balzò in piedi, sui suoi zoccoletti e chiamò, strillò, allegramente, da giù verso la loggetta a colonne’ bianche di calcina, del primo piano, la loggetta seminascosta da un grosso e tozzo albero di fico:

— Mamma Tuta! Mamma Tuta!

— Ohè Bicetta! Che è stato? Che vuoi? — rispose una voce lontana, ma non tanto lontana, dal fondo di una stanza, che era aperta, sulla loggetta.

— Venite fuori, mamma Tuta! Vi è una gran bella cosa! — seguitò, gaiamente, a strillare la ragazza, battendo ora un piede, ora l’altro, negli zoccoletti, sul terreno di quell’orto, dietro la casa.

— Ohè Bicetta, fosse arrivato il Papa? — e la donna, sora Restituta, alta, membruta, di forte colore nella faccia quadrata, ridente nei piccoli occhi rotondi e nella bocca larga sui forti denti bianchi, ondulando sui fianchi poderosi, venne ad affacciarsi alla loggetta, sul parapetto bianco di calcina, fra un coccio ove fioriva un gelsomino di Spagna e un coccio di basilico. E nel riso degli

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