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— Sì. Lo tenni.
— Hai tenuto la promessa? Mi hai portato a veder tutto?
— Ho tenuto la promessa. Ho qui, tutto.
— Bene. E che accadde, dopo, di questo tuo morto? — soggiunse, beffardissimo, Favo.
— Costantini gli ha dato sepoltura, in un piccolo cimitero.
— Costantini? Un beccamorto?
— Il mio caporale. Così brav’uomo! Portava sempre da mangiare ai prigionieri e sotterrava i nemici morti.
— Feminetta: cattivo soldato italiano — disse, recisamente, don Francesco Soria.
— Si è battuto sempre e con valore...
— Cattivo, cattivo soldato — ripetè, l’altro, — Mostrami il tuo trofeo di guerra.
Guido Soria cavandolo dalla tasca, offrì, per primo, a suo nonno, il taccuino di raso azzurro oscuro, ove erano incorniciate e racchiuse le due miniature. Glielo aprì, davanti. Don Francesco Soria fissò i suoi occhi lacrimosi, ma fattisi acuti, su quelle fresche e ridenti figure giovanili: lesse i due nomi. Sogguardò di nuovo. Il nipote era, come sempre, assente: e consunto, per un male interiore, parea diventato il suo viso di bel giovine biondo.
— Era giovane, costui?
— Ventitrè anni; cinque meno di me.
— Como Io sai?
— Ecco il suo foglio militare.
— Ah! E costei, sarà stata la sua amante?
— No. La sua fidanzata. Si adoravano. Si dovevano sposare, appena finita la guerra... Ora, è una vedova,
— Come sai tutto questo?
— Nel portafogli, del morto, vi era una ultima lettera, appassionata, di costei.
— In tedesco, naturalmente?
— In tedesco.
— Tu non hai mai conosciuto questa lingua,
M. Serao. Mors tua.... | 29 |