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— Non so... non so — il nepote, rispose, con voce smorta, con un gesto vago delle mani,

Il vecchio lo covrì, con uno sguardo inquisitore. Un silenzio pieno di cose pensate, sentite, taciute.

— Tu sei vivo. Guido, e accanto a me... — riprese, lento, l’avo — E non ti devi seccare di questo tuo vecchio matto di nonno: egli è vivo ancora, per una sola ragione: e tu la sai bene. Circa quattro anni lunghi, lunghissimi, per me, in cui la Signora Morte sempre, si presentava alla mia porta, per condurmi via: ma io l’ho sempre caricata di vituperii, l’ho minacciata col bastone ed essa è fuggita...

— Nonno caro!

— Dovevo vivere, per rivederti, nepote mio, sano, forte, e vittorioso: dovevo vivere per veder distrutta la nemica, l’Austria: e per udire, da te, come sono stati battuti, perseguitati e trucidati, gli austriaci.

— Se la Signora Morte si presenta, adesso, piccolo mio, don Francesco Soria è galantuomo, è educato, la saluta, le fa un inchino e se ne va via, con lei, zitto, zitto...

— Oh nonno, nonno! — esclamò con voce carica di lacrime, il nepote, mettendo la sua bella e giovine testa bionda, affinata, affilata, sul cuscino, accanto a quella del suo avo.

Uniti teneramente, per un lungo minuto. Poi, il vecchio riprese:

— Raccontami, adesso, come hai ucciso il maledettissimo austriaco.

— Lo sai... — mormorò il nepote.

— Sicuro, che lo so! Ho la tua lettera, dal campo. Eri folle di gioia, scrivendomela: io lo fui, leggendola. La ho riletta tante volte. La so a memoria. Potrei recitarla...

— Dimmi, Guido, fremi tu sempre di una giusta gioia, come quando mi scrivesti? E il giorno, quello, più ricordevole della tua campagna di guerra?

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