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Lotti Rabitsch. Sull’altra metà interna del taccuino, sul fodero, un altro ritratto, una miniatura di giovanissimo uomo, molto bianco di viso, dai capelli castani che spuntavano di sotto il berretto austriaco, di luogotenente di fanteria, dagli occhi castani, più chiari dei capelli, da un vaporoso mustacchio biondo, come un’ombra bionda, sulla bocca: tutti i lineamenti delicati e una espressione semplice, quasi ingenua di bontà, in ogni tratto. Sotto il ritrattino, come dirimpetto, i due nomi ricamati a fili d’oro, sul raso azzurro: Hans Flugy. Nella costola serica e molle del taccuino, in un ricametto di foglioline, a fili d’oro, i due nomi di battesimo, Lotti e Hans, Carlotta e Giovanni, erano intrecciati. Nel fodero, a sinistra, nel fondo, sovra una strisciolina di carta velina, trasparente, era scritto, con un caratterino sottile, in tedesco: Lotti liebe Hans. Egualmente, nel fodero, dirimpetto, sovra un’altra strisciolina di carta velina, identica alla prima, era scritto, con un carattere virile, diritto, in tedesco: Hans liebe Lotti. Sulla scrivania, stava presso il taccuino, un portafogli di cuoio scuro, che si vedeva pieno di carte: e un largo anello di oro, una fascia, un anello di fidanzamento: e, infine, una targhetta militare tedesca, col nome e il grado e la patria, e il reggimento del luogotenente Giovanni Flugy, d’Innsbruck. Macchinalmente, Guido Soria giocherellava col largo anello che egli aveva tolto, a stento, dal dito irrigidito, dalla irrigidita mano del morto. Adesso, guardava, ancora i due ritrattini, prima, per un istante, il roseo viso bambolesco di Lotti: e, poi, senza potersene, quasi, distaccare, quello dell’uomo, il luogotenente di fanteria austriaco. E quegli occhi castani, così sereni, così bonarii, lo presero, lo tennero, come se fossero viventi.
— Ti guarda. Ti guarda! — disse, ad alta voce, a sè stesso, Guido Soria. Balzò, si guardò intorno, sconvolto, come se qualcuno avesse parlato. Di nuovo, si curvò su quel ritratto, allucinato da