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allegria. — Perchè volermi far credere questa favola? Un poema, amiche mie, amici miei, da lui scritto, da me ispirato, a me dedicato, è cosa inaudita, incredibile, non è vero?
E rise, di nuovo, coi suoi dentini bianchi che apparivano dietro le labbra carnose e rosse, schiuse, mentre i suoi occhi di un color lionato, scintillavano.
— Ranaldi è un poeta molto giovane — rispose, con ipocrita compiacenza Franco Gaita, che per la sua persona alta e scarna, il suo viso magro e glabro, per la sua molto accurata eleganza, mostrava dieci anni di meno, dei suoi quarantacinque anni. — Alla sua età, non può fare che poemi d’amore....
— Donna Barberina, lei può esser la musa di un nuovissimo grande poeta — esclamò la vezzosa e lusingatrice, Delia Consiglio.
— Come Beatrice, come Laura.... — soggiunse, subito. Dalia Consiglio, la sorella di Delia, la sua gemella.
Le due ventenni sorrisero, una dopo l’altra e, poi, insieme: pallide, biondette, quando sorridevano, si animavano, nella trasparenza delle loro carnagioni.
— Noiose, brutte, mie care, Laura e Beatrice, nonchè i loro grandi amatori, Dante, Petrarca, così seccanti! — protestò, sempre in risa. Barbara Moles. — Non ci tengo! Neppure voi ci tenete, è vero, Ranaldi, a somigliare a uno di quei seccarori? Scusatemi, se ho rivelato il vostro segreto, a questi amici....
— Sciocco segreto, donna Barberina — mormorò il poeta beffato, fra corrucciato e triste.
— Via, via, facciamo la pace — ella disse, fissandolo, con quei suoi occhi carichi di un fluido provocatore, tendendogli una mano a baciare.
Era una mano bianca, morbida, tiepida, grassottella, come tutta la persona di Barbara: una mano intensamente profumata e le cui unghie rosee luccicavano. Ivo Ranaldi la tenne sotto le sue