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— Come, Guido? Non comprendi? Rosa rossa, amore ardente... Le rose bianche a me, che sono una vecchietta... Chi te la manda, neh? la rosa rossa? — e rideva, rideva, del suo piccolo riso amoroso.
— Non so, mamma, non so... — egli rispose, ancora, tenendo la rosa rossa in mano, senza fiutarla.
— Rosetta Serra! Chi, se non lei, Guido? Rosetta, Rosetta!
— Ah! — egli disse, senz’altro, ricadendo nella sua distrazione.
La madre lo scrutò, un istante; lo ritrovava sempre un po’ affranto, un po’ assorto, un po’ lontano. E pensava che fosse la reazione del così lungo e faticoso e pesante tempo di guerra. E non chiedeva nulla, ella, aspettando, paziente, che il suo Guido ridiventasse il fervido, gaio, operoso giovine di prima.
— Guido, dimmi: mi accompagni, stasera, da Rosetta Serra?
— Perchè, mammina? Sei grandicella; non sai andar sola?
— Desideravo tanto condurti meco, Guido... — ella soggiunse, un po’ turbata, sentendo la sua resistenza.
— E perchè, mammina?
— Non lo sai? Non lo indovini? Rosetta ti ha mandato la rosa... Rosetta desidera vederti... E tu non ci vai... Ed ella è così triste!
— Ah! — diss’egli, con voce incolore.
— Perchè la tratti così, figliuolo mio?
— Io, mamma?
— Tu!. Non te ne accorgi? Tu l’amavi, prima: ed ella ti amava: e ti ama più che mai, adesso, Rosetta, cara creatura fedele... Non eravate fidanzati di amore, prima?
— È vero — egli mormorò, con un gesto vago.
— Non ti ha ella atteso, piamente, durante la guerra, facendo una vita claustrale, quasi, uscendo di casa, solo per andare in chiesa o per opere di carità? Rosetta è un angelo, Guido mio...