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stano. Ella leva, ogni tanto, gli occhi lenti, verso il suo tavolino da notte, che è accanto al suo letto, così vicino, che, quasi, l’origliere vi si appoggia: e il suo sguardo si turba, come se ella perdesse il senso della vita. Colà, fra il suo libro di preghiere e un vasello ove son due o tre fiori modesti, vi è il ritratto del suo figliuolo, un giovane figliuolo, che è stato ucciso in guerra, e di cui ella porta, da quel giorno, il negro cordoglio nelle vesti e lo spasimo segretissimo nel cuore piagato. In questa notte di ebbrezza di un popolo, lo spasimo di questa donna solitaria si fa più trafiggente, più insopportabile; poichè la guerra è finita, ma il suo figliuolo è morto. I superstiti urlano la loro gioia di essersi, per sempre, salvati della guerra: ma il suo giovine figlio, il suo bel figlio, carne della sua carne, sangue del suo sangue, tutto il bene della sua vita, l’unico bene, è morto in guerra, è sepolto sotto una zolla, in un piccolo cimitero del fronte. E non ha più lacrime, non ha più preghiere, non ha più parole, questa madre ignota, orfana di suo figlio. Ella è come la donna del mito pagano, Niobe, che divenne di pietra, nel suo dolore di madre: ella è come Rachele, la donna del Vecchio Testamento, che, in Rama, piangeva i suoi figliuoli e non voleva esser consolata: ella porta, come Nostra Donna dei Dolori, sette spade che le trafiggono il cuore. Alto clamore nelle vie: e profondo silenzio, e cocente disperazione, in ogni stanza remota, di ogni casa deserta, ove una madre ignota, abbia, nelle vesti e nel cuore piagato, il lutto di suo figlio, morto in guerra.