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mente, sino all’alba, sino al sole. Coloro che, malati o invalidi o convalescenti furon lasciati, soli, nei loro letti, tengono la testa sull’origliere, e non trovan pace: ma hanno gli occhi sgranati e le orecchie tese. Le grida, dalla via, sono più stridenti, sono più laceranti. Che dicono? Quali parole pronunziano? Quali sillabe? Nulla s’intende: nulla si comprende: salvo il furore dell’ebbrezza. Talvolta, il grido pare disperato: talvolta pare feroce. E anche costoro, i malati, gli invalidi, i convalescenti, soli, soli, sentono che il loro spirito si è liberato, che la loro vita si è liberata: e che i figli, i parenti, gli amici, che la guerra risparmiò, sino ad oggi, ecco, stanotte, sono tutti fuori pericolo. E se potessero, costoro, giacenti in una involontaria inerzia, stanchi, deboli, emetterebbero anch’essi l’ebbro grido, disperato e feroce della liberazione.
In una casa oscura e silenziosa, donde impetuosi e inconsci sono esciti gli abitanti, senza voltarsi indietro, a salutar colei che lasciavano sola, una donna è rimasta. Ella, sì, ha trasalito sino alle profonde sue viscere, alla nuova che la guerra è finita: ma non ha detto verbo, non ha fatto cenno. Questa donna è, in questa notte di frenetica gioia, chiusa in una stanzetta remota, dove non giunge nessuna eco del tumulto. Ella è seduta presso il suo letto, a capo chino, con le mani in grembo. Piange, ella, forse? Sì, ogni tanto, una rara e lenta lacrima discende sul suo viso scolorato, così scolorato che il sangue ne sembra sparito per sempre: essa asciuga questa lacrima solitaria, con un gesto consueto. Prega, ella, forse? Sì, talvolta, le sue labbra scolorate si agitano lievemente, nelle parole sacre delle antiche orazioni: poi, si arre-