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Marta Ardore lo salutò, con una compiacenza di sguardo e di sorriso, indicibili. Poi ad un tratto, impallidì, come se mancasse. Il suo volto disfatto, i suoi occhi spersi, parlarono a Fausto, senza che ella proferisse motto. Fausto carezzò, leggermente, la spalla di Giorgio, si accostò a sua madre, le indicò il florido e gentile secondogenito, e in un soffio, le disse:
— Diciassette anni, mamma, diciassette anni....
Allora, su questa luminosa certezza, Marta Ardore, e suo figlio Fausto si abbracciarono fortemente, per la prima volta, in quella cupa sera del tempestoso aprile. Su questa certezza, per un istante, l’abisso che separava le loro due anime, fu colmato.
La risata di Barbara Moles squillò, cristallina. Quando Barbara rideva, ella rovesciava, con un gentile movimento, la testa un po’ indietro; il suo collo pieno e bianco, di una bianchezza un po’ ambrata, come era ambrata la carnagione dei suo viso, si gonfiava, come quello di un uccellino: e la sua piccola bocca carnosetta, restava schiusa, quasi un rosso fiore, allora sbocciato. Se Barbara Moles era sempre molto piacente e, spesso, affascinante, quando rideva, dava un’impressione di freschezza e di gaiezza, a chiunque le fosse dappresso. Ma in quella risata che concludeva, troppo allegramente, una conversazione a parte con Ivo Ranaldi, vi era una beffa così evidente, ma Ivo Ranaldi aveva un’aria così sconcertata, che tutti gli astanti, un po’ confusi, guardarono Barbara, interrogativamente, incerti, se ridere o se distrarsi.
— Via, Ranaldi, mi avete presa per una modista? O per una dattilografa? — Barbara esclamò, finendo di ridere, ma ancora palpitante della sua