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oramai, gremiti. Sotto, a masse intense e profonde, una folla senza numero, che, talvolta, pare immobile, che viene, viene, ancora, gridando, strillando, urlando, folla che leva le teste senza cappello, la fronte dalle chiome scarmigliate, i volti congestionati, le bocche spalancate al grido, allo strillo, all’urlo, e va, va, e quella che giunge è un’altra folla, ma pare la medesima. Vi è chi canta: molti cantano: impossibile distinguere quale canto sia, quali parole lo sostengano, il tumulto covre, confonde, ogni precisione di udito, e il canto e le parole, sorpassate, sono soffocate, si disperdono. Tutto è grido: tutto è urlo. Che grido è? Che parole pronunzia? Di quali sillabe è fatto? Impossibile di affermare una desinenza, una cadenza: è un grido, è un urlo di gioia, ma così acerbo, così dilacerante, e, insieme, così clamante, che sconvolge...

Ecco: a un balcone è stata esposta una grande lampada elettrica accesa: dopo pochi minuti, tutte le aperture, finestre, balconi, s’illuminano di piccoli lumi, di grandi lumi elettrici: su certi negozii, si accende, la corona di fiammelle a gas: su altri si accende, di colpo, la linea, la corona di lampadine elettriche: alcune insegne si delineano, elettricamente, sino agli ultimi piani... Nella folla, qualche gruppo di gente giunge con lanterne veneziane, con lanterne giapponesi, di carta, accese: altra gente ha lampadine elettriche, portatili: dovunque si può far luce, si fa, e nella sera alta, nell’aria pregna di umidità che vi ha lasciato la pioggia diurna, la strada si fa chiara e la folla tumultuante si scorge, torrente di umanità, fiume vorticoso di umanità, uomini, donne, bimbi, vecchi e giovani, signori e popolani, cento faccie, mille faccie, occhi allucinati, guancie chiazzate di rosso, bocche contorte nel grido e una sola espressione, diversa ed eguale di ebbrezza, di folle ebbrezza, sulle migliaia e migliaia di volti dell’onda umana, che trascorre, del vortice umano che si ravvolge e trascorre. Nelle case sontuose e nelle case povere,