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e il giovine ha perduto tutto il vivo sangue delle sue vene, mentre il suo volto è rimasto intatto. Il suo viso è più bianco dell’origliere, su cui è poggiata la sua testa; mai viso fu più bianco; e su quella indicibile bianchezza, le sottili palpebre violacee abbassate, sembrano due fiori; le labbra sono esangui, ma composte in quella loro linea giovanile di grazia; i capelli castani dai riflessi fulvi, ricciuti, sono stati ravviati da una mano pietosa e completano la funebre beltà di quel volto, Una leggiera coltre bianca è distesa sul corpo snello e agile, che pur si delinea, sotto quel lieve drappo. Le mani lunghette e fini si chiudono, sul petto, sovra un piccolo crocifisso. Per la luce incerta, Giulio Lanfranchi non riconosce subito Giorgio Ardore; ma chinandosi sul tettuccio, ecco, a un tratto, egli ha un convulso moto di terribile stupore, e si gitta sul petto di Santillo, nascondendovi la faccia, soffocandovi il suo grido...

Ma un’ombra, un’ombra alta, è penetrata nella stanzetta mortuaria e si scorge quest’ombra, accostarsi, un istante, al tettuccio, dare uno sguardo, un istante al bellissimo morto e precipitare a terra, gridando:

— Giorgio, Giorgio, Giorgio!

È Fausto Ardore che ha ritrovato il cadavere di suo fratello, Giorgio Ardore. Il suo urlo continua, ora mugolante, ora stridente, talora si spegne, poi scoppia novellamente, sempre col nome del morto, mentre l’uomo si contorce, per terra, come una belva ferita. In un angolo Giulio Lanfranchi gesticola,

follemente, con le pugna levate in alto...

M. Serao. ''Mors tua...'' 20