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capitano Camillo Moles ne discende, pallido, agitato, mordendosi le labbra, quasi a dominarsi; egli interroga, con lo sguardo, il maggiore Bonelli e il capitano Mendoza, che gli sono andati incontro. Bonelli gli risponde con lo sguardo triste, facendo un gesto di rassegnazione, gli stringe fortemente la mano. Camillo Moles comprende; i suoi occhi si velano di lacrime, ma non piange.
— Povera sorella mia, povera Magda — egli dice, come fra sè. — Mario ha sofferto molto?
Il buon infermiere Santillo risponde subito;
— Sì, molto, ma per un tempo breve, poveretto.
— Ha detto qualche cosa?
— Qualche parola, capitano: al sacerdote Lanfranchi, che lo assisteva.
— Volete chiamarmelo?
— Lanfranchi, Lanfranchi, vieni qui, il capitano Moles ti vuol parlare — dice Santillo, a voce forte, per scuotere il prete soldato, che è distratto, assorto.
Costui si avvicina, lentamente, fissa il capitano Camillo Moles:
— Mio cognato si è confessato?
— No, capitano. Non ne aveva la forza.
— Ma ha detto qualche cosa?
— Vi aspettava; pareva ansioso; vi ha chiamato varie volte.
— Solo me, ha chiamato?
— ... ha nominato Magda.
— Ah! Nuli’altro?
Don Giulio Lanfranchi, le cui risposte sono state sempre più esitanti, adesso resta perplesso. Il capitano Moles aspetta una risposta.
— ... qualche parola, ha pronunziato, confusa... — balbetta Lanfranchi. — Forse delirava...
— Ripetete, vi prego, don Lanfranchi — insiste, più preciso, Camillo Moles. — Debbo ripetere queste ultime parole a mia sorella...
— Mi pare... mi pare che mi abbia detto: «Chiedete perdono a Camillo, a Magda...» — dice, fiocamente, Giulio Lanfranchi.