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chi mio! Siamo alla fine, si vede; si comprende! Si muore, ma si vince..., e si va a casa, amico!

— Non ci credo, non ci credo! — mormora l’altro. — Ma tu che vuoi da me? Perchè mi hai chiamato?

— Pel capitano Mario Falcone, poveretto: ha balbettato tre o quattro volte il tuo nome... Vacci, vacci... Sai che muore...

— Stanotte o domattina, Mendoza, non adesso... — protesta, stanco, malcontento, Lanfranchi.

— Adesso, adesso, può morire, te lo assicuro... Va, va, Lanfranchi: digli qualcuna delle tue parolette sante...

— Io non ne so più, di parolette sante — risponde, sommessamente, Lanfranchi, avviandosi dentro la tenda. — Nessuna, nessuna più...

Mario Falcone è sul limitare della morte. Il buon Santillo, per farlo respirare meno affannosamente, in questi suoi estremi momenti, lo ha tirato su, sovra una pila di cuscini: la testa è eretta, ma solo gli occhi vi sono ancora viventi, largamente aperti, fissi con una intensa espressione di attesa, verso la porta del padiglione; il petto si solleva irregolarmente, come un piccolo mantice disordinato, e un rantolo esce, disordinatamente, dalle aride labbra, su cui fugge l’aria. Ogni tanto, dal polmone due volte forato, sale una lieve schiuma sanguigna e ne bagna gli angoli della bocca: e Santillo l’asciuga delicatamente, con un fazzoletto di lino. Lanfranchi si accosta all’agonizzante, gli prende una mano sulle coltri, cerca stringerla, si china a parlargli, sottovoce:

— Coraggio, coraggio, fratello mio...

Mario Falcone lo guarda, fuggevolmente: poi, con un fiato rantoloso, tenta parlare:

— Camillo... Camillo...

— Verrà, viene, capitano, il cognato vostro — gli dice pietosamente Santillo. — Sta per arrivare...

Lo sguardo di Mario Falcone si fa più fisso, nell’attesa, volto sempre verso la porta.