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il rozzo sacco ove è racchiuso il cadavere di Franziska Kroll: e aspettano il loro tenente, per andarsene. Penoso silenzio. Vi è un tramestìo fra i fanti di Moles, che si sono formati in un gruppo: Emilio Martini viene a dire:
— Signor capitano, è il compagno Filippo Marino, che è svenuto. Gli diamo della grappa, per rimettersi...
— Svenuto, perchè?
— Pare che quell’austriaca fucilata, somigliasse a una sua sorella, tal quale.
Don Giulio Lanfranchi immerge le due mani, tutte macchiate di sangue, nella catinella di acqua limpida e l’acqua si arrossa: egli strofina, fortemente, le mani, una contro l’altra, per nettarle: rovescia l’acqua sporca nel secchio, e se ne versa dell’altra, per tornare a lavarsi. L’infermiere Santillo che è poco distante da lui, in quel recinto estremo della grande tenda-ospedale e fruga, in certi scaffali, ove son pile di biancheria e pacchetti di garza, gli gitta, a volo, un grosso pezzo di sapone verde. E Lanfranchi, ancora, a insaponarsi, a risciaquarsi le mani lunghe e magre, levandole in alto, per vedere se sono monde. Ma chinando gli occhi, si accorge che la sua giubba grigioverde, è chiazzata di sangue.
— È troppo, è troppo! — egli esclama, a sè stesso, ad alta voce.
Poi, volgendosi all’infermiere:
— Santillo, ti prego, dammi una giubba.
— Averla, Lanfranchi mio! Ma dove sono mai le giubbe? — canticchia Santillo, continuando la sua bisogna.
Santillo è un giovane studente di medicina, che è stato combattente quasi tre anni, ma che in que-