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che lo aspetta: e che, subito leva la sua sciabola, in un primo comando, al suo plotone. I suoi fanti mirano, in un moto preciso e unanime: Franziska Kroll leva alta la testa ricciuta e agita il suo fazzoletto di seta, ove sono i colori giallo e nero, austriaci: la sciabola del capitano Moles scintilla, in alto, al secondo comando e i soldati sparano sulla donna. La donna vacilla: poi cade, col volto in avanti e le braccia aperte. Tutto ciò è durato un minuto. Immediatamente, le due ali di scorta si chiudono sulla donna fucilata e su don Carlo Antici che è accorso.

Camillo Moles, ripone, lentamente, la sciabola nella guaina. Non un muscolo del suo viso, si è smosso: egli pare inchiodato sul suo posto, ove ha comandato, senza sgomento e senza pietà, la fucilazione di Franziska Kroll. Dal gruppo chiuso dei soldati di scorta, che si affaticano a una bisogna funebre, che è quella di mettere il cadavere della donna in un sacco, si distacca il tenente Mascia e viene verso il capitano Moles.

— Il colpo di rivoltella, nella testa, a colei, capitano Moles, non era necessario e non ve l’ho chiesto — egli dice, freddamente — Essa è morta fulmineamente.

— Io era pronto — risponde, il capitano Moles, toccando la sua rivoltella.

Ora, è il cappellano Antici che si avvicina, ai due ufficiali. Camillo Moles si volge, un po’ brusco, con voce rude, al sacerdote dalla chioma candida e dallo sguardo pieno di dolcezza.

— La donna ha confessato i suoi delitti?

Fa un cenno, semplice, di assenso, il cappellano.

— E voi l’avete assolta? — prorompe Moles, non sapendosi contenere.

— Non io, capitano. E Iddio che giudica, che punisce e che perdona — dichiara, pianamente, il cappellano.

Tacciono i tre uomini, in un silenzio penoso. Tutto il paesaggio adesso, è sfolgorante di sole. I soldati di Mascia hanno posto sovra una barella,