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mantello, che ha riveduto le cariche della sua pistola di ordinanza, ogni tanto, di sotto la visiera abbassata del suo berretto, scruta l’andatura, il viso dei suoi soldati: nessun segno apparente di insofferenza o di stanchezza. Vanno. Forse, ogni tanto, delle palpebre si abbassano sugli occhi, come ad afferrare un resto di sonno. Vanno: sino a che un ordine breve del caporale Lorenzi li arresta: sono esciti dal folto del bosco di Nerelle, a una larga piazza, rada, fra i gruppi di alberi che la cingono e la nascondono a coloro che, più in là, molto più in là, potessero passare per la via maestra.

— È qui, Lorenzi?

— È qui, signor capitano.

— Siete certo?

— Certissimo. Ieri sera vi siamo venuti, col tenente Mascia che condurrà, qui, fra poco, la donna.

L’alba, adesso, è sempre più palpitante di argento, nel cielo nitido, sui frondosi alberi, sul gruppo di fanti che, alle spalle di Moles e di Lorenzi, si sono messi in linea di riposo. E tutto sembra delicato, in quella luce così limpida, così cristallina, nell’aria, nelle foglie degli alberi, nelle pietre della terra: anche i volti brunastri dei soldati, anche quelli più chiari, anche quelli pallidi, persino quello scarno e olivastro del capitano Moles, e il faccione toscano di Martini, acquistano una tenuità gentile di tinte, nell’alba dalle sfumature fini e fresche. Nessun rumore di passi, ancora, che indichi l’arrivo di coloro che scortano la condannata Franziska Kroll. Potrebbero, forse tardare? Tardare molto? E Moles si china a Lorenzi:

— Volessero fumare, gli uomini? Diteglielo che io lo permetto.

— Lo dirò — risponde il caporale e comunica, piano, il permesso, ai primi fanti: solo due o tre sigarette si accendono. Varii di quei soldati hanno lo sguardo rivolto verso il sentiero, che essi cono-