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la voce leggiera di Barberina, che canta: Beau chevalier, qui partez pour la guerre.... Con un grido, Camillo Moles si risveglia, esce dal malo sogno, coverto di un sudore diaccio, coi sensi sconvolti e una profonda inquietudine. Ha bisogno di varii minuti per calmarsi, per mettersi, quieto, al suo singolare dovere di soldato.

Tutti i lumi sono accesi, mentre Emilio Martini aiuta il suo capitano a vestirsi: è ancora notte. Egli osa dire, a bassa voce, ma supplichevole:

— Posso venire, anche io? Mi faccia questa grazia.

— Non ti muoverai? Non fiaterai?

— Prometto!

— Vieni.

Sono, nella ultima penombra notturna, all’angolo della via, gli uomini che il caporale Lorenzi ha riunito, perchè gli ordini del colonnello sieno eseguiti: e giustizia sia fatta. Si dilegua, sempre più, la notte, ma è difficile scorgere i volti di quei fanti, sotto gli elmetti. Moles li squadra, a uno a uno, ma nulla può distinguere. Si va, nel silenzio della città che fu conquistata: e che dorme, oramai, come se fosse una lontana città del dietrofronte, perchè, colà, non ci si batte più: e il passo dei soldati non risveglia nessun eco, nelle vie lunghe e deserte. Dirige la marcia verso la contrada di Nerelle, fuori la città, in campagna, il caporale Lorenzi, che è pratico di quei paraggi: egli tace: tacciono anche i suoi fanti. Spesso, altre volte, costoro, marciando, parlottano, fra loro, in dialoghetti, ove il gergo militare primeggia: talvolta, si urtano, si sospingono, poichè non sono alla parata. Ma in quei primissimi chiarori dell’alba, costoro sembra che dormino ancora, poichè camminano come automi, senza schiuder labbro, volti senza espressione, occhi sonnolenti. L’attendente Martini si è messo in coda a questi suoi compagni; egli non è, come loro, armato di fucile, e porta le mani nelle tasche del cappotto. Il capitano Moles, che ha cinto la sciabola sotto il