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cipria e ritocca leggermente il suo bel volto. Poi, ripone tutto e riprende la sua strada. S’inganna, forse, il capitano Moles, e Loreta Leoni con Aschieri, già un po’ lontani, chiacchierano e ridono? Forse che, al cantone della via, non si sono presi a braccetto? Il capitano Camillo Moles rientra in casa, in preda a un immenso disgusto: egli ha bisogno di silenzio e di solitudine, più che mai, per obliare le miserie nauseabonde dell’esistenza. E avrebbe, sovra tutto, bisogno di agire, per escire da un sordo tormento spirituale, di cui non si dà precisa ragione. Gli viene incontro il suo giovine attendente Emilio Martini, il vivace e verboso toscano. Ma il furbo soldato conosce, già, le ore cupe del suo capitano e non apre la bocca, per quel giorno, salvo a rifarsi, al più presto.

Ma, ecco, in quella mattina seguente del cadente agosto, il loquace toscano, servendo il caffè al suo capitano, non può stare zitto:

— Lo sa, signor capitano, che la sera scorsa, è stata felicemente acciuffata una spia?

— Un’altra? Ve ne sono tante, in prigione. Sarà una vera spia, questa?

— Altro che! Vera, verissima, che da tanto tempo, forse da tre anni commetteva, contro noi, le più negre infamie: e sempre sfuggiva, sempre scompariva, perchè era un’anima dannata....

— Una donna?

— Una giovanissima donna, una fanciulla, quasi, una figlia del demonio, un’austriaca venuta fuori dall’inferno, capitano!

. — E comò si è fatta prendere?

— Ah è stata una cosa sorprendente, una cosa che si legge solo nei romanzi! Lei sa che girano attorno alla città, in queste campagne, qui intorno, delle pattuglie nostre, che non solo sorvegliano giorno e notte le vicinanze, ma che cercano quelle famose vie sotterranee, che, si dice, passino sotto tutta la città.... Sempre pare che siamo minacciati di saltare, capitano!

— Non importa! Va avanti.

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