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la sua vedova — ella proclama, con un tono autoritario.

Il tenentino biondo del Genio, dall’uniforme nuova, fiammante, abbozza un sorrisetto di compiacenza un po’ ebete.

— Io vado al San Michele, capitano, di questo passo...

— Vi sarà molto difficile arrivarci, signorina Leoni — dice, freddissimo, l’ufficiale.

— Oh io ho tutti i permessi, tutti i salvacondotti: a me nulla si nega... Sono già stata una volta... Ci ritorno: m’inginocchierò su quelle zolle. Ci rivedremo al ritorno, capitano.

— Non so... non so se sarò ancora qui — egli dice, gelido — A ogni modo, mi riverisca sua madre, quando ella sarà in Roma.

— Appena m’incontrerò con lei, capitano, le porterò i suoi saluti.

Ella scorge lo sguardo interrogativo dell’ufficiale e risponde, subito, scioltamente:

— Non abito più da tempo, con mia madre. La morte del mio Carletto, mi ha dato tutta la mia libertà di vedova.

— Ah! Sua madre sarà molto sola?

— Sì, è sola. Sarebbe stata anche sola, se Carletto fosse vissuto e ci fossimo sposati... Poi, mia madre è così religiosa, poverina...

E un tono di gentile compatimento, è nelle parole di Loreta Leoni. Il colloquio è finito. Loreta Leoni si allontana, tenendo accanto il biondo tenente Aschieri: con i suoi piedini lunghi e sdutti, nelle scarpette nere dalle fibbie scintillanti di giaietto, con le sue gambe alte e affusolate di Diana cacciatrice, inguainate nelle calze di seta nera, ella cammina col suo passo ondulante, in cui la sua fascinante persona, conserva tutte le sue seduzioni. Involontariamente, fermo al suo posto, il Moles la segue, con lo sguardo. Ella si è arrestata, un istante, a una frivola occupazione femminile: ha tirato fuori dalla sua borsetta uno scatolino di argento, che contiene il piumino della