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giovane ufficiale, biondo, in elegante tenuta di ufficiale del Genio. La donna si ferma, rigetta indietro il lungo velo di crespo nero, che pendeva dal cappellino e che le scendeva sino alle ginocchia: Camillo Moles riconosce, subito, Loreta Leoni. Le sue vesti sono di strettissimo cordoglio, ma ella è largamente scollacciata, con un vezzo di giaietto nero, sul bianchissimo rotondo collo: un grazioso cappellino nero, dall’orlino bianco vedovile, poggia sull’onda nera dei folti capelli. Il capitano Moles nasconde la sua sorpresa e, anche, un senso curioso di repulsione, per quelle tetre gramaglie, d’onde più spicca l’altiera e pur provocante beltà di Loreta. Si sbaglia, forse, Moles, o le labbra schiuse come un fior di garofano, sono tinte di rosso?

— Oh mio capitano Moles, come sono contenta d’incontrarvi! — ella esclama, con la sua penetrante voce, mentre gli stende una mano bianca e lunga, ove porta, all’anulare, una grossa perla nera, di gran valore, sovra un sottile cerchio d’oro.

— Come qui, signorina Leoni? — egli domanda, banalmente, mentre appena stringe la mano finissima.

— Di passaggio, di passaggio, verso il San Michele... ove è caduto il mio povero Carletto... — ella dice, senza nessuna ombra di emozione: e soggiunge, sùbito:

— Capitano Moles, presento il tenente del Genio, Aschieri, che ha la bontà di accompagnarmi, lassù...

Scambio di saluto militare, rigido, fra i due ufficiali. Il biondino del Genio, pare che si apparti dalla conversazione, guardando chi passa per la via: Loreta Leoni ha la sua mano sul braccio di Moles, rattenendolo:

— Voi eravate con lui, nella fatale giornata...

— Ero con lui, sì — risponde austero il capitano.

— Lo avete visto battersi, il mio diletto...

— L’ho visto battersi eroicamente, Carletto Valli — soggiunge sempre austero, Moles.