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non lo interrompe, perchè conosce questo stato di animo esaltato, in tanti suoi uomini.
— Ho vissuto giornate di sangue, giornate funeste, in un’aria di fuoco che mi soffocava, come in una bolgia d’inferno, colonnello — spiega, con voce roca di una crescente emozione, che invano cerca reprimere, il capitano Moles che è, adesso, diventato smorto — Non ero avvezzo al sangue, al fuoco, alla morte... Quanti, quanti, agonizzanti, attorno a me, che un’ora prima, un minuto prima, eran sani, forti, baldi, pieni di lieto furore e che cadevano, l’un sull’altro, trafitti, perdendo tutto il loro sangue, gemendo le loro ultime parole, vite falciate e disperse, in un’ora, in un istante...
Il calmo siciliano fa, con le mani, un cenno suadente d’inevitabilità.
— E la guerra, colonnello, lo so, lo so! Ma è, anche, nelle anime più semplici, pei cuori più umani, l’ira novissima che vi si forma, contro il nemico, è la maledizione che sgorga dal nostro cuore esacerbato, dall’anima nostra inorridita, contro il nemico, è una ferocia che c’invade, ferocia mai conosciuta, il piacere, la voluttà della vendetta, vedere scorrere il sangue nemico, vedere ammucchiati i cadaveri del nemico... È un solo istinto, colonnello: uccidere, per vendicare i nostri morti!
Come una valanga sono uscite le parole infocate, le parole ardenti, dalle labbra tremanti del capitano: e un furore fa balenare quei suoi occhi, che parevano spenti, un furore folle. Ancora fa un largo gesto di pace, il tranquillo colonnello Galatioto, per dominare l’agitazione del suo ufficiale.
— Lei ha molto sofferto, capitano Moles, perchè ha un’anima sensibile: ma lei è anche un buon soldato — gli dice, con un sorriso benigno, quasi affettuoso.
— Ora, non soffro più: il mio cuore è diventato un macigno, nel mio petto. Ma ardo, sempre, di vendetta... Si lasci, si lasci, al fronte, questo oscuro, ignoto, buon soldato — conclude, quietandosi, a poco a poco, il capitano Moles.