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— Mia sorella, una sola sorella. Mi sono incontrato, con lei, ultimamente, a Treviso. Era venuta a cercare il capitano Falcone, suo marito. Ha trovato solo me.

Una pausa di silenzio.

— Nessun affetto di famiglia, e nessun interesse di professione, adunque — riprende il colonnello Galatioto, fisando negli occhi il capitano Moles — possono indurla a rientrare in casa?

— Nessuno. Io chieggo di restare al fronte. E lei, colonnello, mi accontenti, chiedendolo per me.

La voce di Camillo Moles si vela, quasi in espressione di desiderio vivo.

— Bisognerà che io faccia un rapporto favorevole, al suo rifiuto di rientrare, capitano Moles. Lo farò. Speriamo che «quei signori» comprendano la nobiltà del suo rifiuto. Tanta gente, qui, è stanca... è impaziente...

— Io non sono stanco: e sono paziente, colonnello.

— Lo veggo: e me ne compiaccio. Ma non mi fraintenda, capitano. Io non mi lagno dei miei uomini: molti, molti, ufficiali e soldati son come lei, non vogliono andar via, saldi, tenaci; vogliono aver vinta l’ultima battaglia e aver disperso, anche gli ultimi nemici.

— Li vinceremo e li disperderemo, colonnello! — si esprime con impeto, improvvisamente, il capitano Camillo Moles.

— Certo, certissimo! E fra non molto, forse.

— Crede? Crede? — interroga, commosso, il capitano.

— Non vede, anche lei, i buoni indizii, da tutte le parti, le buone notizie, che ci arrivano? — si riprende e risponde, evasivamente, il colonnello Galatioto.

— Sì, sì, li scorgo anche io questi grandi indizii di vittoria finale! La sento venire! — esclama, concitato, l’ufficiale — Che sia presto distrutto l’infame nemico: e sieno vendicati i nostri troppi morti italiani,

Freme la voce del capitano Moles: e il colonnello