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— Mi pare, capitano Moles, che quest’ufficio a cui ella è destinato, non le convenga? Parli liberamente.

— Infatti, colonnello, non mi conviene, — risponde, breve, l’ufficiale che è sempre ritto, innanzi al suo colonnello.

— Giudice al Tribunale di Guerra, in Napoli — soggiunge il pacato siciliano — Chi non l’accetterebbe, dopo tanto tempo passato al fronte?

— Io, no, colonnello — replica, deciso, l’altro.

— Non era avvocato, lei, capitano Moles, prima della guerra, in Roma?

— Ero, sì.

— Ed era avvocato eminente, lo so.

— Dicevano...

— Avvocato, giudice, sono ufficii somiglianti. La sua antica professione non l’attira?

— Preferisco quella che faccio — ribatte, deciso, il capitano.

— Ella è stato sempre al fronte, mi pare?

— Sempre.

— E ha, credo, partecipato a varie azioni importanti?

— Non sul principio, colonnello: ho sopportato un lungo periodo d’inerzia. Poi, più tardi, mi è stato dato di battermi contro l’austriaco. Sono stato anche in Francia e mi sono battuto contro i tedeschi.

— Veggo, qui, nell’incarto, due ottime citazioni: è, anche, in corso, una medaglia — riprende il colonnello Galatioto. E insiste.

— Roma e Napoli sono vicine. Non ha famiglia, lei, capitano?

— Sì, ho moglie — risponde, freddo, il capitano Moles.

— In Roma, è vero?

— Essa viaggia, spesso. Adesso è a Rapallo, sebbene si sia in primavera...

— Niente figliuoli?

— Niente.

— E di casa sua?