Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
― 186 ― |
— Mi pare, capitano Moles, che quest’ufficio a cui ella è destinato, non le convenga? Parli liberamente.
— Infatti, colonnello, non mi conviene, — risponde, breve, l’ufficiale che è sempre ritto, innanzi al suo colonnello.
— Giudice al Tribunale di Guerra, in Napoli — soggiunge il pacato siciliano — Chi non l’accetterebbe, dopo tanto tempo passato al fronte?
— Io, no, colonnello — replica, deciso, l’altro.
— Non era avvocato, lei, capitano Moles, prima della guerra, in Roma?
— Ero, sì.
— Ed era avvocato eminente, lo so.
— Dicevano...
— Avvocato, giudice, sono ufficii somiglianti. La sua antica professione non l’attira?
— Preferisco quella che faccio — ribatte, deciso, il capitano.
— Ella è stato sempre al fronte, mi pare?
— Sempre.
— E ha, credo, partecipato a varie azioni importanti?
— Non sul principio, colonnello: ho sopportato un lungo periodo d’inerzia. Poi, più tardi, mi è stato dato di battermi contro l’austriaco. Sono stato anche in Francia e mi sono battuto contro i tedeschi.
— Veggo, qui, nell’incarto, due ottime citazioni: è, anche, in corso, una medaglia — riprende il colonnello Galatioto. E insiste.
— Roma e Napoli sono vicine. Non ha famiglia, lei, capitano?
— Sì, ho moglie — risponde, freddo, il capitano Moles.
— In Roma, è vero?
— Essa viaggia, spesso. Adesso è a Rapallo, sebbene si sia in primavera...
— Niente figliuoli?
— Niente.
— E di casa sua?