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— A un solo patto — replica, freddo, torvo, Fratta. — Che mi porto via anche il denaro del morto.
— Brutto pretaccio spretato! — prorompe Soria. — È dunque vero, che tu rubi i morti?
— Quelli sono morti! — sghignazza, selvaggiamente Fratta,
— Anche gli italiani, tuoi fratelli, tu derubi, pezzo di assassino?
L’altro guarda, con occhi biechi, e risponde con violenza:
— E vorresti che facessi questo infame mestiere, solo per obbedire alle canaglie, che mi ci hanno condannato? Vorresti che, se non ci schiatto sotto, torni a casa a morir di fame? Chi è morto, è morto....
— E eri prete, eri prete, tu?
— Così si vocifera.... ma è dicerìa vecchia, finita, finita! — e ride del più malvagio suo riso.
— Va, va, maledettissimo! — tronca, con questo grido, Soria, il turpe discorso,
Sotto i due grandi alberi, sul sentiero che porta alla limpida sorgente d’acqua, Fratta e il suo compagno, hanno deposto il cadavere del giovane austriaco: la testa è un po’ sollevata e appoggiata a un tronco. Gli occhi del morto sono restati aperti; sono di un color castano, poco più scuro del castano biondo dei capelli; il viso è sempre bianchissimo, ma già le ombre violacee, le ombre bigie della morte, scendono dagli zigomi sulle guancie, scendono sui lati della bocca. I lineamenti sono fini: l’espressione che va svanendo, in quelle ombre mortuarie, è calma. Sul suo uniforme, i ricami di argento al colletto dicono che era luogotenente di fanteria, Egli ha preso tre palle, una nel costato, due nell’addome. E i suoi panni sono intrisi di sangue, ma il sangue si è già disseccato sulla stoffa, Soria lo ha lungamente guardato, dappresso, curvo su quel corpo; rialzandosi, dice a Fratta:
— Chiudigli quegli occhi.