Pagina:Serao - Mors tua.djvu/185


― 177 ―

Soria, e fissa il cannocchiale sul punto ove è caduto l’austriaco, che egli ha ucciso. Quel mucchio, che è un uomo, è sempre là: non si è mosso: non è stato soccorso: non è stato portato via. È lì: ed è morto, certamente.

— Benissimo, benissimo! — dice a voce alta, l’ultima volta che rientra in cabina, il tenente Soria. In nessun giorno della sua fervorosa vita, è mai stato tanto contento di sè stesso.

Cade il crepuscolo: è diventato debole, fiacco, il fragore del bombardamento. Ma vi è movimento, nella valle, da tutte le parti, lungo le trincee italiane. Una voce chiama Guido Soria; egli si scuote, viene fuori, si trova innanzi il capitano Dellara, che è a bicicletta, sporco, sudato, con l’uniforme a strappi, a larghe macchie scure, con le mani nere, graffiate a sangue; lo seguono due o tre altri ufficiali, nel suo medesimo stato pietoso. Guido Soria è sull’attenti.

— Buona giornata per noi, tenente Soria — dice con voce rauca e stanca, il capitano Dellara. — La quota di Scurelle, è nostra: anche la posizione di Val verde.

— Disperso, il nemico?

— Disperso; meglio, distrutto. Ma non è finita; torneranno gli altri. Sono così ostinati! Qui, siete pronti?

— Prontissimi, sempre!

— Bene. E quelli che avete di fronte?

— Come se non vi fossero.

— Badate che stanotte verranno fuori; forse, domattina. Vorranno fare un movimento verso voi, da questa parte. Questo volevo dirvi.

— Non passeranno, capitano.

— Bene. Vegliate. Avrete più precisi ordini, nella mattinata. Io, passando, ho avvertito tutti. Vado all’ospedaletto. sotto Strigno.

— Molte perdite, nostre?

— Molte, sì. Ai posti di medicazione e all’ospedaletto, vi è ressa. È la guerra, tenente. Ho perduto il mio povero tenente Gianni Scalese....

M. Serao., mors tua ... 12