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— Guardi bene: a sinistra, in alto, ove sono tre alberi in gruppo.

— È vero, è vero, è un austriaco, è venuto fuori dalla trincea, anch’esso! — dice Costantini.

Guido Soria ha puntato il suo occhialino: vede perfettamente l’austriaco, che è alto, snello, e sembra un ufficiale, poichè non gli si scorge fucile. È voltato verso sinistra, scrutando l’orizzonte e il suo viso non si può scorgere. Il soldato Franceschi ha subito afferrato il suo lucentissimo fucile e interrogaci suo tenente, con voce sorda:

— Sparo?

— Sei matto? — gli grida Costantini. — Se spari, vengono fuori gli altri.... e non abbiamo ordini....

— Che dannazione! — bestemmia Guido Soria, sempre puntando l’occhialino sull’austriaco.

Ora costui si è girato: è di faccia. Guido Soria distingue, adesso, un viso chiaro, e, gli sembra, senza baffi: qualche cosa brilla, ogni tanto, al colletto, forse un ricamo di argento, ma tutto questo è indistinto, per la distanza, malgrado la potenza del cannocchiale di Soria. L’austriaco, imperterrito, fa qualche passo innanzi e indietro.

— Perchè non posso sparare, su quella canaglia? — esclama piano ma concitato, il fante Franceschi.

— Non si può! — ribatte il caporale, con fermezza.

— E se lo ammazzassi io? — prorompe il tenente Soria, tendendo macchinalmente le mani, verso il suo fante Fanceschi, per prenderne il fucile.

— Signor tenente, per amor di Dio, viene un disastro, pensi ai suoi uomini... — protesta, con emozione, il caporale Costantini.

Ma il fucile di Franceschi è già nelle mani di Guido Soria, che si volge, lento, preciso, per mirare, per sparare, contro l’austriaco. Ma costui non vi è più: è scomparso, sotterra; è sprofondato. E l’orizzonte è deserto.

— Dannazione, dannazione! — bestemmia, rauco