Pagina:Serao - Mors tua.djvu/179


― 171 ―

schi ha già strofinata e resa Brillante la pistola di ordinanza del suo tenente; sebbene il fantaccino disdegni quest’arme di parata, che non è buona a niente. Adesso Franceschi è preso tutto, occhi acuti, bocca stretta, mani ora lente e ora agili ma sempre precise, a lustrare il suo fucile, oggetto delle sue più tenere simpatie e delle sue più amorose cure. La persistente umidità della trincea, le pioggie, la belletta, intaccano continuamente la sua arma prediletta: e poichè si è in ozio, Franceschi vi passa, intorno, delle ore, fra un cumulo di cenci, unti di grasso.

— Scende, scende da Strigno, la cannonata: ed è un grosso attacco — avverte, di nuovo il caporale Costantini, che è sempre mezzo fuori dalla trincee, in ascolto, in vedetta.

Il tenente Soria scatta: prende il suo cannocchiale, viene fuori, tutto quanto, all’aria libera: Franceschi lo segue, quasi attaccato alla sua persona, dopo aver imbracciato il fucile, e tutti tre, stretti insieme, vanno dietro due grossi tronchi d’albero, che li celano al nemico. Il nemico è tranquillo e tacito, sotterra, come essi sono: ma è poco lontano: e il fante Franceschi, che si è già battuto, tre volte, in altri posti, in piccole e in grandi azioni, fissa i suoi acutissimi occhi, su quell’orizzonte deserto, ma infido:

— Perdiana, come cresce il bombardamento! — esclama il caporale Costantini.

Difatti, il cupo fragore si fa sempre più vasto, più profondo, con echi rimbombanti, lontani e vicini, che si raddoppiano, che si moltiplicano. Talvolta, pare proprio che lo stridore lacerante, che precede lo scoppio della bomba, sia a cento passi: e sembra, oltre la boscaglia, là, là, che l’orizzonte già si oscuri di fumo.

— Che non si debba far niente, niente? — ruggisce, a denti stretti, Guido Soria.

— Tenente, vi è un nemico, lassù — dice, piano, il fante Franceschi.

— Dove, dove?