alta e stretta, messa su, alla meglio, quasi sull’orlo della trincea, dove il sentiero che vi discende, si abbassa e quasi vi si sprofonda, sentiero lastricato di fango rappreso, di pietre mescolate al fango e di assicelle, che erano ben disposte e che i piedi umani hanno disgiunte e quasi disperse. La cabina è stata costruita con certe larghe tavole grezze, mal piallate, disuguali, tenute insieme da bulloni, da grossi chiodi irrugginiti, da spranghe di ferro: essa si deve all’opera ingegnosa e paziente del caporale Costantini e del soldato Franceschi, che è, poi, il vero attendente di Guido Soria. Il letto è una vecchia branda, con un grosso e largo sacco pieno di paglia, che forma materasso: un rotolo di stoffa, cioè un vecchio mantello lacero, è l’origliere. Con altre assicelle e qualche piuolo, sono stati formati un tavolino, una panca, uno scaffale: qua e là dei pezzi di tela cerata covrono il legno: anche dei fogli di giornali sono stati adoperati, per riparare, per nascondere.... Seduto, sulla soglia di questo suo ricovero, il tenente Soria osserva tutti i movimenti dei suoi uomini, delle sue «talpe», poichè essi debbono per forza passare innanzi a lui, per entrare, per escire. Ora mattinale, in cui questi uomini, che sono ridotti come talpe, appariscono, a due, a due, quatti quatti, guardandosi bene intorno, fissando bene gli occhi lassù, lassù, dove la collina si va innalzando, e quasi addossate a una fitta boscaglia, vi sono le trincee nemiche. Gli uomini di Soria camminano cauti, curvi, scendendo nelle valletta, allontanandosi, verso una piccola ma perenne sorgente di acqua: e bevono con la faccia nell’acqua: e si lavano la testa, il collo, le braccia nude: alcuni lavano una camicia sporca, risciaquano un sudicio fazzoletto: qualcuno, col dorso nudo, si rotola nell’erba umida.... E quelli che aspettano il loro turno, in trincea, brontolano, bestemmiano in tutti i dialetti, pestano i piedi. Seduto per terra, con le spalle appoggiate alla nera parete della trincea, il soldato France.-