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un onesto cittadino, obbediente alle leggi... Non ho mai obbedito volentieri, alla disciplina: sempre mi sono ribellato, interiormente, con animo torbido, a ogni comando: sempre avrei voluto ribellarmi, esteriormente, con parole, e con atti, inveire, pubblicamente, contro la guerra, ingiuriare i miei superiori, insultare i miei capi lontani, bestemmiare, infine, contro tutto e contro tutti, maledire! E, poi, non l’ho mai fatto, così, scioccamente e stranamente, per qualche cosa d’ignoto che mi paralizzava, che mi suggellava la bocca: così, sono restato al fronte, pessimo soldato, per mesi e mesi, per un tempo interminabile, che è caduto sul mio cuore, giorno per giorno, ora per ora, come goccia di piombo... Amici, dovunque io mi, sono sentito morire: nei baraccamenti sordidi e puzzolenti, ove ogni istante potea venir l’ordine di partire e di attaccare: morire nelle trincee, sotterranei, fosse, grotte, antri, ove l’uomo diventa più bestiale delle bestie, ridotto ai suoi istinti più bassi: morire, a ogni colpo di cannone, morire a ogni fischio stridente delle carnefici mitragliatrici, morire a qualunque scoppio di bomba, morire a ogni lampo, a ogni baleno... Morire, sempre!

— Ma di che, morire? — domanda, stupito, il buon soldato.

— Di paura — risponde, preciso, netto, il cattivo soldato.

Adesso, gli ascoltanti lo guardano, lo fissano, colui che si confessa così tristamente: ma non vi è, nel loro sguardo, nessun disprezzo, per quella confessione: certo, vi è dell’interesse umano, e, forse, della pietà.

— Una paura che, sempre, mi sommuoveva il sangue, ora quasi gelandolo, ora precipitandolo, bollente, nelle mie vene, come un flutto liquido di metallo fuso: una paura che mi stringeva la gola, come un nodo che mi strozzasse: una paura che m’irrigidiva ogni membro, mentre la mia vista si ottenebrava, le orecchie mi rombavano, la pelle si raggricciava... Tutta la mia anima spasimava,

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