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E, così, in quei cuori, sempre oscillanti fra la speranza e la sfiducia, si creava ogni tanto una zona chiara di tranquillità, ove taceva il sordo sgomento che le agitava; la illusione, nata da fatti fallaci, da parole vaghe, diventava, quasi, una certezza di bene, poichè esse potentemente aspiravano a questa certezza. Tacevano, adesso, insieme, respirando in quella zona di quiete, riposando le loro forze morali: e ogni volto, pur toccato dal tempo e dalle pene, pur invecchiato anzi gli anni, si rasserenava. Stavano per congedarsi, per rientrare, ognuna, nella sua casa; e ognuna deponeva gli uncinetti, i ferri da maglia e i gomitoli, ognuna ravvolgeva in carte veline, e nelle borse da lavoro, i lievi lavori, tessuti dalle loro abili e agili mani. Quando, ad un tratto, Carmela Soria, come se parlasse a sè stessa, riprese:

— .... L’ha ereditato nel sangue, Guido mio, quest’odio mortale contro gli austriaci; e il nonno suo, quel suo santo ma terribile nonno, don Francesco Soria, dove egli va spesso, così spesso, seguita a raccontargli le sue antiche campagne, e gli dice che gli austriaci impiccavano i patriotti italiani, e bastonavano le donne.... sempre glielo ripete. Adesso, poi, più che mai...»

Di nuovo, coi visi contratti, con le labbra tremanti, le madri amiche ascoltavano.

— .... e Guido mio, come li odia, questi austriaci che non conosce, ne vuole uccidere uno, dieci, cento, questo mio figliuolo, così buono, così tenero! Egli mi fa rabbrividire, quando ne parla. Donna Marta, quanto sono infelice!

Gli occhi della piccola madre del grande figlio, ai arrossarono di lacrime represse.

— Donna Marta, donna Marta, Loreta mia vuole seguire Carletto Valli, il suo fidanzato, alla guerra, vuole nascondersi, poco lontana.... vuole lasciarmi.... e io non posso dire nulla! — esclamò Carolina Leoni, convulsa.

— Mio figlio Gianni non ha padre — disse, tetramente Antonia Scalese, rammentando il dramma