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vazioni, gli stenti, e ho sempre scritto ai miei, allegramente, mentendo, mentendo sempre, per non affliggerli, mentendo, sovra tutto, quando entravamo in azione; e mi sono battuto, lo so, lo dico, lo proclamo, con onore e con coraggio, e ho affrontato ogni pericolo senza esitare un istante, inviando, nell’ora del rischio supremo, solo dal cuor mio afflitto, un saluto di addio a mia madre, alla mia donna, a quel figliuolo, che non era nato ancora... Vi giuro, amici, che ho fatto più del mio dovere!

— Vi crediamo, amico — dice l’ospite novello.

— Vi crediamo — conferma l’uomo del solaio.

— Ebbene, ebbene, sapete voi come sono stato compensato? — egli si esalta, nella notte, nella penombra. — Quando la mia cara compagna è stata al suo termine, non mi hanno voluto dare neppure un giorno di licenza: e la poveretta, in quelle ore di travaglio, in cui poteva perire, è stata senza me, e mi è nato un figlio, e io non ho udito il suo primo grido, e mesi e mesi ho dovuto esser trafitto, dal desiderio di vedere questa mia carne nuova, questo mio sangue nuovo... O gente infame, o gente nefasta, che mi avete inflitta la tortura più divorante, in cambio della mia servitù, della mia obbedienza, del mio valore!

— Sia maledetta la guerra che rende gli uomini più feroci delle belve! — È la parola deprecante del novello ospite.

— Maledetta, maledetta! — stride l’uomo del solaio.

— Udite, udite ancora! — prorompe, esaltatissimo, come folle, colui che era stato un buon soldato. — Ecco che la mia madre languisce, perde le sue ultime forze, nello spasimo della mia lontananza, per il mio pericolo: e mi scrivono che i suoi giorni, oramai, sono pochi: e io mi agito, mi dibatto, disperato, pazzo, per avere un permesso, una licenza, per riveder mia madre, per assisterla morente, perchè io so che ella è morente: mi telegrafano di andare: un illustre medico telegrafa.