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stende sopra le mani ghiaccie: ora è seduto sovra una panca che non si vedeva, nella penombra, e che è a destra del camino, mentre, ve ne è un’altra, a sinistra, dirimpetto, come presso tutti i camini delle alte case alpine. La fiamma s’innalza, dà luce, intorno; colui che è entrato, l’ultimo, nello stanzone, vede l’uomo che dormiva, tacito, immobile sulla sua panca lontana, vede il terzo uomo, quello del solaio, che si china sulla ringhiera della scaletta. L’ospite novello si volge al padron di casa e gli chiede, seccamente:

— Avete gente?

— Amici — ribatte, secco, l’altro. — Amici come voi.

— Quanti?

— Due, solamente. Li vedete.

— Mi aspettavate?

— Ero avvertito, sì.

— Non deve giungere nessun altro?

— Nessuno.

— Va bene — conclude, fermo, tranquillo, il novello ospite.

Ora, costui, si è tolto il cappello, su cui il calore ha disciolta la neve ed è fradicio di acqua; si è sbottonato il pastrano, quasi fumante di umidità, presso la vampa. Egli è un uomo ancor giovine, forse appena trentenne; ha un viso ulivigno, ma puro di linee, e sebbene esse sieno nette e taglienti, non mancanti di bellezza nella loro espressione decisa; la sua fronte è più chiara del viso e non ha rughe, mentre un solco di pensiero, è, fra ciglio e ciglio; le sue mani lunghe, distese al calore vivificante del fuoco, non mostrano la deformazione del lavoro manuale; i suoi gesti sono semplici e armoniosi; egli è vestito civilmente, con una camicia di bucato, candida. Adesso, al richiamo caldo e lucente della legna che brucia, l’uomo che dormiva profondamente sulla panca, buttato col corpo e con la testa sovra la tavolacela, e che, sveglio, era restato muto e cheto, al suo posto, contro il muro, quest’uomo che pativa di