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ticato nel battente; sebbene egli ne covra l’apertura, col capo e col busto, un chiarore strano penetra, da quell’apertura, nello stanzone, come la diffusione di una pallida luce lunare: è la neve, da cui sono coverte le strade, e il bosco, e le roccie, fuori, è la neve che seguita a fioccare, in quell’algida notte dell’anno che finisce. L’uomo che scriveva, parla, a voce quasi spenta, con colui che ha bussato due volte? costui, che non si può scorgere bene, perchè l’altro, da dentro, lo nasconde, anche parla con un soffio; la conversazione è cortissima: la persona, di fuori, ha pronunciato un motto e, poi, ha porto un involtino, all’uomo che è dentro. Lo spioncino si richiude pianamente; pianamente scorre il lungo catenaccio, nei suoi anelli metallici; un battente della porta si schiude - a metà, la luce chiara e smorta della notte di neve, fuori, mostra un’ombra di uomo che penetra vivamente nello stanzone; il battente ricade, la porta è chiusa e incatenacciata. L’uomo che è entrato, l’ospite novello, è tutto cosparso di fiocchi di neve, sulle spalle, sulle braccia, sulle mani; il cappello floscio, abbassato sulla fronte, sino agli occhi, ne è tutto imbiancato. Egli si scuote tutto quanto, batte forte i piedi a terra, come se si fossero gelati, respira profondamente. L’uomo che dormiva, è rimasto immobile, sulla sua panca, innanzi al suo tavolaccio, con la testa appoggiata al muro, quasi estraneo a quello che accade, ma seguendo, con l’occhio, ogni moto del novello ospite; l’altro, l’uomo che era di sopra, nascosto nel solaio, e che è comparso sulla scaletta, vi è rimasto confitto, immoto.

— Amico, non avete fuoco? — dice il novello ospite, al padrone di casa. — Io sono assiderato.

— Ecco — risponde, senz’altro, il padrone di casa.

E va verso il camino, vi si curva sotto la cappa, vi traffica qualche minuto, finchè una vampa vi si accende, da tre pezzi di legno, messi ad ardere. L’ospite novello vi si accosta, vi china il volto, vi