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spento. Nel silenzio grande, si ode solo stridere ogni tanto, la penna dello scrivente, sul largo foglio del registro; ma, tendendo l’orecchio bene, si ode un altro rumore, eguale, monotono, quello del respiro di un uomo addormentato. Colui che dorme, è seduto sovra una stretta panca, che è addossata a una parete dello stanzone; egli si è abbandonato, sovra una tavolaccia che ha davanti, con le braccia congiunte e col capo nascosto nelle braccia, alla sua stanchezza e al suo sonno. È una massa bruna, quasi informe, da cui viene fuori quel respiro di un uomo immerso in un sonno pesante. Lo scrivente non si occupa di lui, preso, come è, dal suo stentato lavoro di scrittura; il lume, accanto a lui, crepita, come volesse spegnersi ed egli ogni tanto, ne smuove la palla bianca trasudante e puzzolente, piena di petrolio, perchè bagni meglio la calzettina. A un tratto, nel silenzio, un colpo è picchiato alla porta; l’uomo che scrive, leva il capo dalla sua scrittura e il suo floscio e scialbo viso sembra, ora, tutto teso, nell’attenzione e nell’attesa. Un secondo colpo, più sonoro; adesso, anche il dormiente si è scosso dal suo profondo sonno, ha levata la testa verso colui che scrive e mostra un viso contratto da una sospettosa curiosità, mentre i suoi occhi hanno una interrogazione ansiosa. Lo scrivente, mettendosi un dito sulle labbra, gli rivolge un energico cenno di tacere; e scendendo dalla sua seggiola alta, si avvia, con passi cauti, verso la porta sbarrata sotto il lungo catenaccio; ma, a mezza strada, è fermato da una voce bassa e trepida, che giunge dall’ultimo fondo dello stanzone. Sovra l’esiguo pianerottolo di una piccola scala interna, un uomo è apparso e piegandosi tutto, sulla ringhiera della scaletta, dice:
— Non aprire, non aprire!
Anche a lui, l’uomo che scriveva, impone di tacere, con un gesto rude di fastidio; egli è già arrivato alla porta, ma non la schiude ancora; apre, invece, uno sportellino, uno spioncino, che è pra-