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— Sempre, Cesare.
— E si vince? Si vince?
— Si vince e si perde, figliuol mio.
— E così, non viene nessuna decisione, è vero, è vero? — esclama il malato, agitato, di nuovo — Non finisce mai, questa orribile guerra?
— Calmati, calmati, Cesare: è questione di tempo....
— Ma è eterno il tempo! — grida il malato — E quando si torna a casa? Quando?
— Torneremo, torneremo, Cesare, pazientiamo....
— Io morirò in quest’ospedale, don Giulio.
— Mo no, ma no; sta tranquillo; ti guariranno, guarirai; andrai a casa....
— Io morirò in quest’ospedale, se non mi scrivono da casa, don Giulio — ritorna, alla sua idea fissa, il malato.
— Vedrai, vedrai, che da un momento all’altro avrai lettere.
— Sono tre mesi, tre mesi, tre mesi.... — si lamenta, di nuovo, il malato.
Quando è sul pianerottolo, per andarsene, don Giulio Lanfranchi incontra suor Serizia e s’intrattiene con lei, qualche minuto.
— Che dice, il malato romano, don Lanfranchi?
— Spasima, perchè non ha notizie dei suoi.
— Una lettera è giunta, per lui, dalla posta — confida, a bassa voce, suor Serizia — I medici vogliono che noi le leggiamo, prima, queste loro lettere. È giunta, ora, la sua. Scrive la sua figliuola, Bicetta. Il piccolino Augustarello è morto, purtroppo, nel «nido» dove lo avevano raccolto.
— Oh suor Serizia! — prorompe, triste, a bassa voce, il prete. Poi soggiunge, subito:
— Non date questa lettera a Cesare Pietrangeli. Voi lo uccidete, suor Serizia.
— E se chiede della sua posta?
— Dite che non è giunto nulla....
— Debbo dire una bugia, don Lanfranchi?
— Sì. Io vi assolvo, senza confessione, suor Serizia. Per carità, si può mentire. Vi assolvo.