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donna forse, a quest’ora, fa la mala femina, per le vie di Roma e, io, domani, morrò, io che ho trentanni, io che ero giovine, vigoroso, pieno di speranze.... Prete, prete, vattene dal mio letto, se non vuoi che ti maledica, tu, sacerdote di un Dio crudele, atroce....

Il delirante tifoso ricade sull’origliere, coverto di un sudore freddo, dibattendosi, convulso, con parole rotte, con voce arrocata: pietosissima, curva sul morente, suor Serizia gli asciuga il sudore, lo ricompone fra le coltri, gli dà da bere, a sorsi, una bevanda fresca. Osa di nuovo, don Lanfranchi, mormorargli:

— Figliuol mio, calmatevi.... È il male che vi esaspera.... Fidate nella Divina Provvidenza....

Più tranquillo, ma con voce ove stride l’ironia,

Il malato si volge al prete e sogghigna:

— Tu ci sei stato, prete, lassù, in guerra? Hai visto la strage, sei stato in mezzo alla strage? E ci credi ancora a questo tuo Dio? E se ci credi ancora, lo benedici o lo maledici, come io lo maledico? Rispondi la verità, prete, se hai coraggio....

— Pazienza, pazienza, don Lanfranchi.... — interviene suor Serizia, scorgendo la espressione dolorosa, che contrae il volto emaciato del prete.

Adesso ella ha tolto il termometro di sotto l’ascella del tifoso: la temperatura sorpassa i quaranta gradi. La suora leva gli occhi alla lavagnetta, che è a capo-letto del malato, ove è segnata la prescrizione. Bisogna dargli un bagno freddo. Con un cenno, ella indica un letto lontano a don Lanfranchi, ove è l’altro infermo che, forse, potrebbe esser confortato da una parola di bene: e suor Serizia se ne va a chiamare, dalla seconda sala, un infermiere, per sollevare nelle sue lenzuola, il malato, che ha bisogno di esser immerso nel bagno freddo.

Con passo malfermo, il prete soldato si avvia verso il letto lontano: due volte si arresta, quasi gli mancassero le forze, per continuare. Sollevato